giovedì 26 novembre 2015

Il pastiche e la letteratura in dialetto nel poliziesco: Da Ingravallo a Montalbano

Il famoso attore e regista Pietro Germi, che dal romanzo di Gadda trasse il film “Un maledetto imbroglio”, non riuscì a finire di leggere il libro, come svela lo sceneggiatore Alfredo Giannetti: «in un'intervista. “Germi ne lesse metà e poi disse: ‘Senti, ma chi è l’assassino? Io non sono riuscito a capire, sono arrivato a metà. Pieno di parole complicate…’ Non l’ha mai letto”. In effetti, il Pasticciaccio di Gadda non è esattamente un libro da regalare per Natale. Proprio per questo, forse, però io l'ho amato e non sono invece riuscito a finire di vedere il film di Germi (preferendo di gran lunga lo sceneggiato con Flavio Bucci). Non è il classico giallo stile Conan Doyle al quale siamo abituati. E' invece, un giallo senza soluzione. Un'analisi della società, la quale, per Gadda, è troppo complicata perché si risolva il caso, sulla stessa linea d'onda di Svevo ne La Coscienza di Zeno.
Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana è un pasticciaccio in tutti i sensi: non solo il caso affidato al commissario, è un gran pasticcio, uno “gnommero”, un caso complicato, anzi, i due casi che non si sa se sono collegati o meno, “Quanno me chiammeno!… Già. Si me chiammeno a me… può stà ssicure ch’è nu guaio”,  ma il libro è anche una Babele, un pastiche linguistico, che alterna italiano, dialetto, arcaismi, forestierismi e latinismi. “’quacche gliuommero… de sberretà…’ diceva, contaminando napolitano, molisano, e italiano”.
All'inizio, a causa del dialetto romanesco, si può fare un po' di fatica a leggere, ma dopo aver preso confidenza con il testo, chi ama la letteratura e l'originalità in essa, troverà quest'opera sublime. Parte come un giallo, ma subirà delle variazioni. A Gadda, infatti, interessa raccontare il reale, analizzare il lavorio mentale dei poliziotti.
Il commissario dottor Francesco Ingravallo, detto Don Ciccio, è un poliziotto molisano in servizio a Roma, “non ancora cavaliere”, nell'epoca del fascismo. Mescola, infatti, - come abbiamo visto - romano, molisano e napoletano. Anche la sua lingua è un pasticciaccio. Alter-ego di Gadda, il quale, diventando funzionario della Rai, si trasferisce a Roma, dove impara il dialetto romanesco e scrive quest'opera proprio in dialetto grazie all'aiuto di alcuni amici esperti romani.
Ingravallo è un poliziotto filosofo, malinconico e introverso, non si sente amato dalle donne e, durante le indagini, infatti, invidia quei giovanotti sospettati o interrogati di cui si parla come dei seduttori, di uomini amati e ricercati dalle donne.
Anche da questo punto di vista, Ingravallo è l'alter-ego di Gadda. Il romanzo è pieno d’ironia, di satira sul duce, sulla sua figura caricaturale: “Quel pazzo che sbraita al Palazzo Chigi”, o “Il Mascellone”, e altre espressioni grottesche riguardando Mussolini. Una critica al fascismo si avvertirà sempre. Anche, per esempio, leggendo la frase “Di questi tempi esistono ancora ladri e assassini?” Un'espressione sarcastica contro il luogo comune di alcuni contemporanei nostalgici che descrivono, a torto, il regime fascista come una società di totale ordine sociale.
Il commissario Ingravallo è amico dei coniugi Balducci che un giorno lo invitano a cena. Liliana, la moglie, soffre perché non è riuscita ad avere figli. Qualche giorno dopo, la contessa Menegazzi viene derubata dei suoi gioielli. Questo furto, che agita tutto il palazzo, precede un altro crimine: l'assassinio di Liliana Balducci. Ingravallo è incaricato dell'indagine. Iniziano i sospettati: Giuliano, colui che ha scoperto il cadavere, cugino di Liliana. Il prete, padre spirituale di Liliana.
Le domestiche: una di loro ha avuto una relazione con il marito. La scena dell'indagine si sposta sui castelli romani. Dalle indagini, risulta che il sospettato avesse una sciarpa verde. Tutto porta all'arresto di Ines: da lì si risale al proprietario della sciarpa: Enea Retalli, detto Igino. La sciarpa era finita in lavanderia, una lavanderia che copre una casa di appuntamenti in cui si trova una certa Zamira, con le sue giovani prostitute. A Gadda piaceva molto l'idea di scrivere un giallo, soprattutto perché attratto dalla cronaca nera. Dietro questo delitto, c'è un conflitto irrisolto. Per Gadda il giallo è l'orizzonte da cui far emergere un groviglio. Il giallo è esso stesso un “pastiche”. Trovare il senso in una vicenda apparentemente insensata. Gadda, come Ingravallo, ama l'ordine e nota che il mondo è in disordine. Il pasticciaccio è un'opera realista che presenta meccanismi narrativi e linguistici e una duplicità di personaggi e scene: furto e omicidio, le scale sono due. Insomma, il due è un numero corrente, nel romanzo.
Ora andiamo verso il presente, a una letteratura dei giorni nostri, facciamo un breve confronto con uno degli autori più letti del nostro secolo.
Potrebbe solo essere una mia impressione, ma leggendo le prime righe del Pasticciaccio, ho notato una certa somiglianza con i romanzi di Camilleri, un po' per la personalità di Ingravallo, per certi versi analoga a quella del commissario Montalbano, pigro, introverso, sonnolento ma sveglio allo stesso tempo; un po' per il registro linguistico che alterna italiano e dialetto. Certo, la lingua siciliana e lo stile di Camilleri sono molto più fluidi rispetto al pastiche di Gadda che talvolta utilizza i due punti dove potrebbe benissimo utilizzare la virgola o i puntini sospensivi, ma non è un caso se Camilleri si era ispirato proprio a Ingravallo, quello interpretato proprio da Pietro Germi nel film “Un maledetto imbroglio”, per la fisionomia di Montalbano. Lo descrive, infatti, così, molto differente dall'immagine celebre di Zingaretti tant’è che l’attore stesso riconosce che:

Camilleri diceva che sì, ero un bravo attore, ma non ero il suo Montalbano. L'aveva scritto pensando a Pietro Germi, con i baffi, quella sua andatura, i capelli. E ancora ci tiene a dire che non si è mai ispirato a me, che l'autentico Montalbano è altro da Zingaretti. Così come vi sono differenze tra il Pasticciaccio e i romanzi di Camilleri: nel primo, infatti, il registro linguistico cambia continuamente e non si limita, come nel caso di Camilleri, ad alternare l’italiano ed un solo dialetto, ma è addirittura “polifonico”. Tuttavia, il famoso commissario Montalbano, quello letterario, assomiglia, quanto alla fisionomia, all’Ingravallo cinematografico di Germi, a livello caratteriale, all’Ingravallo letterario, ma Ingravallo non si sente amato dalle donne, mentre Montalbano è fidanzato con Livia ed è amato dalle donne. Se andiamo, però, a vedere anche gli altri commissari letterari, nati successivamente, – a partire dal Santamaria di Fruttero fino al Ricciardi di De Giovanni, sembrano tutti nati da una cellula del malinconico Ingravallo.

Domenico Esposito, scrittore