Il famoso attore e regista Pietro Germi, che dal romanzo di Gadda trasse il
film “Un maledetto imbroglio”, non riuscì a finire di leggere il libro, come
svela lo sceneggiatore Alfredo Giannetti: «in un'intervista. “Germi ne lesse metà e poi disse: ‘Senti, ma
chi è l’assassino? Io non sono riuscito a capire, sono arrivato a metà. Pieno
di parole complicate…’ Non l’ha mai letto”. In effetti, il Pasticciaccio di
Gadda non è esattamente un libro da regalare per Natale. Proprio per questo,
forse, però io l'ho amato e non sono invece riuscito a finire di vedere il film
di Germi (preferendo di gran lunga lo sceneggiato con Flavio Bucci). Non è il
classico giallo stile Conan Doyle al quale siamo abituati. E' invece, un giallo
senza soluzione. Un'analisi della società, la quale, per Gadda, è troppo
complicata perché si risolva il caso, sulla stessa linea d'onda di Svevo ne La
Coscienza di Zeno.
Quer
pasticciaccio brutto de Via Merulana è un pasticciaccio in tutti i
sensi: non solo il caso affidato al commissario, è un gran pasticcio, uno
“gnommero”, un caso complicato, anzi, i due casi che non si sa se sono
collegati o meno, “Quanno me chiammeno!… Già. Si me chiammeno a me… può stà ssicure
ch’è nu guaio”, ma il libro è anche una
Babele, un pastiche linguistico, che alterna italiano, dialetto, arcaismi,
forestierismi e latinismi. “’quacche gliuommero… de sberretà…’ diceva,
contaminando napolitano, molisano, e italiano”.
All'inizio, a causa del dialetto romanesco, si può fare un po' di fatica a
leggere, ma dopo aver preso confidenza con il testo, chi ama la letteratura e
l'originalità in essa, troverà quest'opera sublime. Parte come un giallo, ma
subirà delle variazioni. A Gadda, infatti, interessa raccontare il reale,
analizzare il lavorio mentale dei poliziotti.
Il commissario dottor Francesco Ingravallo, detto Don Ciccio, è un
poliziotto molisano in servizio a Roma, “non ancora cavaliere”, nell'epoca del
fascismo. Mescola, infatti, - come abbiamo visto - romano, molisano e
napoletano. Anche la sua lingua è un pasticciaccio. Alter-ego di Gadda, il
quale, diventando funzionario della Rai, si trasferisce a Roma, dove impara il
dialetto romanesco e scrive quest'opera proprio in dialetto grazie all'aiuto di
alcuni amici esperti romani.
Ingravallo è un poliziotto filosofo, malinconico e introverso, non si sente
amato dalle donne e, durante le indagini, infatti, invidia quei giovanotti
sospettati o interrogati di cui si parla come dei seduttori, di uomini amati e
ricercati dalle donne.
Anche da questo punto di vista, Ingravallo è l'alter-ego di Gadda. Il
romanzo è pieno d’ironia, di satira sul duce, sulla sua figura caricaturale:
“Quel pazzo che sbraita al Palazzo Chigi”, o “Il Mascellone”, e altre
espressioni grottesche riguardando Mussolini. Una critica al fascismo si
avvertirà sempre. Anche, per esempio, leggendo la frase “Di questi tempi
esistono ancora ladri e assassini?” Un'espressione sarcastica contro il luogo
comune di alcuni contemporanei nostalgici che descrivono, a torto, il regime
fascista come una società di totale ordine sociale.
Il commissario Ingravallo è amico dei coniugi Balducci che un giorno lo
invitano a cena. Liliana, la moglie, soffre perché non è riuscita ad avere
figli. Qualche giorno dopo, la contessa Menegazzi viene derubata dei suoi
gioielli. Questo furto, che agita tutto il palazzo, precede un altro crimine:
l'assassinio di Liliana Balducci. Ingravallo è incaricato dell'indagine.
Iniziano i sospettati: Giuliano, colui che ha scoperto il cadavere, cugino di
Liliana. Il prete, padre spirituale di Liliana.
Le domestiche: una di loro ha avuto una relazione con il marito. La scena
dell'indagine si sposta sui castelli romani. Dalle indagini, risulta che il
sospettato avesse una sciarpa verde. Tutto porta all'arresto di Ines: da lì si
risale al proprietario della sciarpa: Enea Retalli, detto Igino. La sciarpa era
finita in lavanderia, una lavanderia che copre una casa di appuntamenti in cui
si trova una certa Zamira, con le sue giovani prostitute. A Gadda piaceva molto
l'idea di scrivere un giallo, soprattutto perché attratto dalla cronaca nera.
Dietro questo delitto, c'è un conflitto irrisolto. Per Gadda il giallo è
l'orizzonte da cui far emergere un groviglio. Il giallo è esso stesso un
“pastiche”. Trovare il senso in una vicenda apparentemente insensata. Gadda,
come Ingravallo, ama l'ordine e nota che il mondo è in disordine. Il
pasticciaccio è un'opera realista che presenta meccanismi narrativi e
linguistici e una duplicità di personaggi e scene: furto e omicidio, le scale
sono due. Insomma, il due è un numero corrente, nel romanzo.
Ora andiamo verso il presente, a una letteratura dei giorni nostri,
facciamo un breve confronto con uno degli autori più letti del nostro secolo.
Potrebbe solo essere una mia impressione, ma leggendo le prime righe del
Pasticciaccio, ho notato una certa somiglianza con i romanzi di Camilleri, un
po' per la personalità di Ingravallo, per certi versi analoga a quella del
commissario Montalbano, pigro, introverso, sonnolento ma sveglio allo stesso
tempo; un po' per il registro linguistico che alterna italiano e dialetto.
Certo, la lingua siciliana e lo stile di Camilleri sono molto più fluidi
rispetto al pastiche di Gadda che talvolta utilizza i due punti dove potrebbe
benissimo utilizzare la virgola o i puntini sospensivi, ma non è un caso se
Camilleri si era ispirato proprio a Ingravallo, quello interpretato proprio da
Pietro Germi nel film “Un maledetto imbroglio”, per la fisionomia di Montalbano.
Lo descrive, infatti, così, molto differente dall'immagine celebre di
Zingaretti tant’è che l’attore stesso riconosce che:
Camilleri
diceva che sì, ero un bravo attore, ma non ero il suo Montalbano. L'aveva
scritto pensando a Pietro Germi, con i baffi, quella sua andatura, i capelli. E
ancora ci tiene a dire che non si è mai ispirato a me, che l'autentico
Montalbano è altro da Zingaretti. Così come vi sono differenze tra
il Pasticciaccio e i romanzi di Camilleri: nel primo, infatti, il registro
linguistico cambia continuamente e non si limita, come nel caso di Camilleri,
ad alternare l’italiano ed un solo dialetto, ma è addirittura “polifonico”.
Tuttavia, il famoso commissario Montalbano, quello letterario, assomiglia,
quanto alla fisionomia, all’Ingravallo cinematografico di Germi, a livello
caratteriale, all’Ingravallo letterario, ma Ingravallo non si sente amato dalle
donne, mentre Montalbano è fidanzato con Livia ed è amato dalle donne. Se
andiamo, però, a vedere anche gli altri commissari letterari, nati
successivamente, – a partire dal Santamaria di Fruttero fino al Ricciardi di De
Giovanni, sembrano tutti nati da una cellula del malinconico Ingravallo.
Domenico Esposito, scrittore
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