venerdì 16 dicembre 2011

Mal...Edizione


Molti sono coloro che, giovani e meno giovani, coltivano la passione per la scrittura e sognano di pubblicare un libro. Alcuni lo fanno, non per esprimere le proprie idee e trasmettere un messaggio, ma più per una sorta di narcisismo, altri per vera passione. La fretta e la frenesia di pubblicare un libro spinge il piccolo autore esordiente, scettico e disilluso di poter essere pubblicato dalle grandi case editrici, a commettere un grave errore: cadere nella trappola dell'editoria a pagamento, credendo che questa sia l'unica soluzione. Sbagliato. Sbagliatissimo. Perché? Perché la maggior parte dell'editoria a pagamento, nemmeno si dovrebbe definire editoria, dal momento che non seleziona nemmeno i testi e pubblica qualsiasi cosa al costo di migliaia di euro ingannando l'autore con false promesse o comunque promesse futili con le quali, ingenuamente, s'illude di poter diventare famoso. È matematico e ovvio, s'intende, che se pubblicano di tutto, pubblicano anche autori validi. Il problema però è che questi bravi autori si confondono con gli autori mediocri e gli autori scarsi, perdendo così la credibilità, non essendo state le loro opere selezionate, ma semplicemente stampate. Insomma, l'autore non si guadagna la pubblicazione con il merito, bensì pagando e non saprà mai il valore della sua opera. Più che un'editoria, questa, sarebbe da definire una sorta di tipografia mascherata da casa editrice. A questo punto, quindi, meglio autoprodursi il libro rivolgendosi a una tipografia appunto oppure a un servizio online spendendo più o meno la stessa cifra. Chi sogna però di pubblicare un libro con un editore dovrebbe provare lo stesso, nonostante la scarsa probabilità, di rivolgersi alle grandi case editrici e attendere con pazienza. Se da queste non si è ricevuta alcuna risposta, dopo un lungo periodo di attesa, allora occorre rivolgersi alle piccole case editrici, quelle che non chiedono soldi. Non si deve credere a chi dice che non esistono o che sono poche: su internet se ne trovano a centinaia. Bisogna pazientare e non avere fretta, rifiutare qualsiasi proposta di pubblicazione da parte di chi chiede contributi e stare attenti anche a quei furbi che, dichiarando di combattere l'editoria a pagamento, chiederanno di acquistare un cospicuo numero di copie (del vostro stesso libro!) con uno sconto al prezzo di copertina che è comunque altissimo. L'autore spenderà sempre sugli 800 euro circa e la gente non potrebbe certo acquistare il libro di un esordiente sconosciuto al prezzo di 20 euro sul quale voi ci guadagnereste tra l'altro una scarsissima percentuale di per sé già bassa, calcolando che, a causa del prezzo troppo alto, le vendite sarebbero molto basse, l'autore avrebbe speso tanti soldi e ci avrebbe guadagnato poco o nulla. Esistono anche case editrici che chiedono contributi, ma selezionano le opere e s'impegnano nella promozione, ma perché spendere soldi quando c'è chi potrebbe pubblicarvi gratis e farvi capire se siete meritevoli o meno? Da non temere, invece, chi potrebbe chiedere una piccola tassa di lettura, soprattutto se in cambio, mentre valutano la vostra opera, spediscono un libro del loro catalogo. Detto questo, il problema dell'editoria a pagamento fa sì che gli autori restino ignoti e non valorizzati ed è dunque un problema che impedisce all'autore esordiente di emergere e fa sì che resti per sempre un esordiente. Queste cosiddette case editrici spiegano, nei loro siti e nei contratti che inviano agli autori, le motivazioni per cui ritengono necessario chiedere contributi. Sciocchezze. Sono solo giustificazioni. Se davvero fosse necessario rubare soldi agli autori, non esisterebbero le case editrici non a pagamento (è infatti è quello che cercano di farci credere) che hanno già da tempo iniziato la lotta all'editoria a pagamento: un problema che va combattuto con l'informazione, invitando gli aspiranti scrittori a diffidare di questi truffatori mascherati da editori e a diffondere a loro volta l'informazione.

Domenico Esposito

fonte: IlCaudino

N.B. nell'articolo pubblicato sul giornale non ho fatto i nomi di quelle case editrici che, in particolare, pubblicano qualsiasi cosa pur di rubare soldi. Le più note sono
IL FILO - GRUPPO ALBATROS
ALTRO MONDO EDITORE
ALETTI EDITORE
Per sicurezza voi comunque rifiutate qualsiasi proposta a pagamento.

domenica 4 dicembre 2011

Sia fatta la mia volontà...qui nel mondo di Domenico Esposito Mito

Il sei dicembre uscirà “Sia fatta la mia volontà...Qui nel mondo”, la seconda opera di Domenico Esposito Mito, già autore de “La Città dei Matti”. Quello di Domenico Esposito non è solo un bel romanzo, ma è anche una sorta di saggio politico, religioso e sociale in forma di racconto...che narra la storia di alcuni giovani attivisti campani “reduci” dal G8 di Genova del 2001 e affronta tematiche come il rapporto tra l’ateismo e la religione, le ideologie, la violenza della polizia e i vari problemi della nostra epoca. La casa editrice Tempesta Editore aveva deciso di non pubblicare più romanzi e dedicarsi esclusivamente alla saggistica, “ma questo romanzo scritto da un giovane di venticinque anni, alla sua seconda opera - spiega l'editore nella prefazione - con quelle idee messe in testa al suo protagonista, forti, provocatorie, ribelli, spesso dure, ma per me sicuramente giuste, mi ha subito conquistato”.



Immagine di copertina: Carlo Esposito

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Domenico Esposito (1986) è un giovane scrittore e rapper di Cervinara (Avellino), conosciuto anche con lo pseudonimo di “Mito”. Ha sempre coltivato la vena di scrittore e poeta, cui crescendo si è aggiunta la passione per il rap. Diplomatosi geometra, si dà però esclusivamente alla musica partecipando a numerosi concerti. Nel 2009 pubblica il suo primo romanzo “La Città dei Matti”(Mond&editori). Ha condotto il programma culturale “Polvere di Storia” alla web radio “C.A.O.S.” (Centro Autogestito Operante nel Sociale), ispirata al movimento giovanile della Valle Caudina nel quale è stato attivamente impegnato per un anno e di cui è stato co-fondatore. Gestisce un blog dove pubblica interviste e articoli. Scrive per “Il Caudino”, giornale mensile di Cervinara.



Disponibile su IBS e sul sito di Tempesta Editore
Retesei

Il Ciriaco

Sito di Enzo Napolitano

sabato 5 novembre 2011

Una piazza intitolata a Carlo Bianco

Cervinara - È stata inaugurata, nella frazione Salomoni, una piazza intitolata allo scrittore, poeta e filosofo cervinarese, Carlo Bianco, autore di più di 95 opere che spaziano dalla letteratura alla poesia, alla filosofia, al teatro. Carlo Bianco ha insegnato Filosofia Teoretica all’Università di Napoli, laureato in Scienze Coloniali e in Giurisprudenza ed è stato insignito della laurea in Lettere honoris causa dall’Università latina di Parigi. La sua produzione letteraria gli ha procurato numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali ed è stato per due volte candidato al premio nobel. L'inaugurazione è stata preceduta dalla messa del parroco Nicola Taddeo ed introdotta dall'assessore ai lavori pubblici, Domenico Cioffi, il quale ha dichiarato che il sindaco e l'amministrazione hanno voluto fortemente la realizzazione di questa piazza che, nonostante le sue piccole dimensioni e il suo stile particolarmente semplice, è qualcosa di “grande” e che “abbiamo avuto conferma di questa sua grandezza per la presenza dei cittadini di Cervinara, a partire dagli abitanti della frazione Salomoni e soprattutto per l'autorevolezza degli ospiti che ci hanno onorato della loro presenza in questa manifestazione perché proprio la loro presenza dimostra che l'amministrazione ha avuto una buona e felice intenzione. Per noi questa piazza rappresenta degli elementi importanti: la ricostruzione, perché ci ricorda il sisma; un luogo di aggregazione, che è la funzione sociale di ogni piazza e anche la testimonianza di una comunità che vuole nutrirsi soprattutto di cultura” . È seguito poi l'intervento del sindaco Filuccio Tangredi al quale è toccato scoprire la targa con l'incisione e che ha dichiarato che“già durante la campagna elettorale si era preso l'impegno di realizzare questa piazza e di far abbattere quelle case fatiscenti e quindi prendere provvedimento a questo problema e ciò ha richiesto un lavoro molto complesso” . Poi è intervenuto il Cosimo Sibilia, presidente della Provincia di Avellino, ringraziando per l'invito per poter essere presente, “per questo grande orgoglio a nome mio e dell'amministrazione provinciale trasmetto alle autorità, ai cittadini di Cervinara perché oggi ricordiamo un grande uomo, un uomo di cultura e di grande spessore morale, un uomo che è il vanto dell'intera provincia di Avellino. Oggi l'intitolazione di questa piccola, ma bella e accogliente piazzetta a nome di Carlo Bianco sta a significare quanto i cittadini di Cervinara con la loro presenza più numerosa ricordino con affetto il maestro Carlo Bianco”. È stata letta, inoltre, una poesia dell'autore da parte di un giovane studente del liceo classico di Cervinara. È toccato poi al primo dei figli dello scrittore, il Generale Franco Bianco, il quale ha ringraziato l'amministrazione comunale e il direttore del nostro giornale Alfredo Marro (che gli ha dedicato anche il saggio biografico intitolato “Carlo Bianco, un gigante del pensiero” e una raccolta di poesie scelte di Carlo Bianco “Frammenti di un'anima”), infatti, numerosi articoli e poesie di Carlo Bianco sono apparsi su Il Caudino, sul quale l'autore scriveva costantemente. Il generale Franco Bianco ha inoltre riconosciuto il merito del Caudino di aver conservato nella biblioteca tutte le opere di suo padre “anche quelle che noi figli non non siamo riusciti a conservare”. A concludere è stata Rosa Russo Jervolino, ex sindaco di Napoli, la quale ha dichiarato di aver avuto “la grandissima fortuna di conoscere Carlo Bianco soltanto negli ultimi dieci anni della sua vita e quindi sarebbe più logico se foste voi a continuare a parlare a me e non viceversa. Carlo Bianco era un avvocato come lo sono io, ma lui era un pensatore profondo, un filosofo, un poeta, un drammaturgo, mentre io non sono niente di tutto questo. Ciò che mi ha colpito di Carlo Bianco” ha aggiunto la Jervolino “era la sua capacità di incutere rispetto, ma senza incutere soggezione e ciò significa che si percepisce immediatamente l'apertura mentale, l'apertura del cuore dell'altro e la volontà di colloquiare. E un altro aspetto che caratterizzava Carlo Bianco era quello di occuparsi di vari rami della filosofia, di letteratura e di poesia, benché di professione facesse l'avvocato, che è una professione che lascia poco spazio a queste materie”. L'ultima volta che Carlo Bianco fu candidato al premio Nobel,vinse lo scrittore Orhan Pamuk, ma, sottolinea la Jervolino, tra il modo di scrivere dei due autori non c'è praticamente nessuna differenza.

Domenico Esposito Mito, scrittore

domenica 30 ottobre 2011

MA QUALE RITO MACABRO!



Che Halloween sia oggigiorno una grandissima sciocchezza, una festa consumista e commerciale, senza alcun significato, importata in Italia dall'America, è indubbio, ma far risalire le sue origini a riti macabri, malvagi e satanici è pura ignoranza,o magari chi lo afferma sa benissimo di avere torto, ma per tirare l'acqua al proprio mulino, come si suol dire, mente e va, ancora una volta, contro quei principi cristiani, secondo i quali bisogna "non dire falsa testimonianza"? Se l'ipotesi è la seconda, non c'è da stupirsi, visto che il cristianesimo ha fatto a pezzi le religioni politeiste proprio con le bugie; se l'ipotesi è, invece, la prima, allora questi bigotti cristiani, sono solo vittime di quelli che gli hanno trasmesso certe idee e quindi sono invitati ad informarsi prima di diffondere certe notizie errate. Pochi giorni fa, infatti, un amico mi ha parlato di un articolo apparso su un giornale locale in cui si spiegava di "origini negative di Halloween" e la mia prima reazione è stato un sorriso sarcastico, seguito dalla spiegazione che secondo i cristiani, tutto ciò che appartiene al paganesimo è negativo, perché fin da quando il cristianesimo divenne religione di stato (e molto probabilmente anche prima), dipinsero il paganesimo come qualcosa di macabro, satanico, cattivo. Per esempio, la figura cornuta che la cultura cristiana ci ha abituati a vedere come Satana, in principio, altro non era che il dio Pan, un dio mansueto, positivo, senza quelle espressioni brutali, disgustose, cattive che i cristiani gli hanno attribuito, ma anzi che ispira, a mio avviso una certa pace, come in questa figura. Quanto alle streghe, sappiamo che non sono mai esistite, o meglio, che non erano quelle come ci vengono dipinte oggi nelle fiabe per bambini e che a causa di questa stupida credenza, durante l'inquisizione, morirono molte persone innocenti, presunti stregoni e presunte streghe e anche dei poveri gatti, se vogliamo dirla tutta. Sembra quasi che certi cristiani abbiano un po' di nostalgia dell'Inquisizione. Ora, cosa è scritto nella nota di questo signore a proposito di Halloween? Che con questa festa i pagani onoravano Samhain, il principe della morte, "per ringraziarlo per i raccolti estivi". In primo luogo, se davvero ci fosse un principe della morte chiamato Samhain, perché vederlo come figura negativa, se proprio il cristianesimo insegna che la morte non è una cosa poi così macabra, ma che anzi è il passaggio dalla "vita terrena" verso quella che i cristiani chiamano "la vita eterna?"; perché vederlo come figura negativa, se ha aiutato a procurare i raccolti estivi? (vai a fare del bene alla gente). In primo luogo, Samhain era il nome originale della festa che oggi conosciamo come Halloween, durante la quale moriva il Dio cornuto delle Foreste (nessun principe della morte), ad indicare che le energie della natura in questo periodo dell'anno si ritirano (cominciando così il periodo invernale, più ostile). Rappresenta la fine di un circolo durante il quale si coglie l'occasione per fare un reso conto della propria vita. In sostanza niente di più e niente di meno di ciò che si fa abitualmente a Capodanno. Durante questa notte i veli tra i mondi si assottigliano, i celti credevano che in questa data gli spiriti dei defunti camminassero nel nostro mondo insieme a noi, venivano quindi accese delle zucche (Le Jack 'o'lantern) per far luce agli spiriti. In realtà, anche se si festeggia la morte in questa notte, lo spirito è sempre stato molto gioioso, perché il pensiero dei pagani era che chiuso un cerchio ne comincia sempre un altro. Ho scritto queste righe, non per difendere Halloween, che come ho già detto, è oggi una festa ridicola, ma piuttosto per amore della verità troppo spesso ammazzata dalla menzogna e dall'ignoranza che, diffondendo messaggi sbagliati,fomenta anche pregiudizi, considerato che oggi esistono ancora persone che credono nella religione pagana e se è vero che crediamo nel rispetto del pensiero altrui, stiamo più attenti a ciò che scriviamo e informiamoci per bene e non per sentito dire. Infine, cosa sostiene quell'articolo? Che questa festa andrebbe eliminata e sostituita con qualcosa di "più cristiano": tralasciamo la laicità dello stato, tralasciamo il fatto che la maggior parte delle feste cristiane e le figure cristiane sono nate dalla soppressione delle feste e delle figure del paganesimo e tralasciamo anche il fatto che, al contrario di come si crede, i principi sani si possono insegnare (e quindi apprendere) anche senza credere in una religione..ma...non vi bastano già tutte le feste cristiane che abbiamo in Italia?

Domenico J. Esposito

domenica 9 ottobre 2011

Il romanzo sul G8

È prevista per novembre l'uscita del nuovo romanzo del giovane scrittore cervinarese Domenico Esposito Mito, già noto al pubblico di Cervinara e della Valle Caudina per il suo romanzo d'esordio "La Città dei Matti"pubblicato nel 2009. Il secondo libro del giovane Esposito, edito da Tempesta Editore, s'intitola "Sia fatta la mia volontà – Qui nel mondo". Un romanzo che racconta la storia di alcuni giovani attivisti campani "reduci" del G8 di Genova 2001 e affronta tematiche come il rapporto tra l'ateismo e la religione, le ideologie, la violenza poliziesca e vari problemi sociali della nostra epoca.
Fonte: IL COMUNICATO STAMPA

In Chiaro Scuro
Wikionews

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mercoledì 27 luglio 2011

La Città Dei Matti presentazione alla Libreria Rinascita Caffè (Roma) articolo su IL CAUDINO



Intervista integrale:

Luana Troncanetti: Domenico, so che ti sei stancato di spiegare il motivo per cui ti chiamano Mito. Vuoi allora raccontarci chi sono i tuoi miti?

Domenico Esposito: Con questa domanda mi costringi a spiegarti lo stesso perché mi faccio chiamare Mito: proprio perché io di miti non ne ho, penso che ognuno debba credere in se stesso: quando si hanno gli idoli, si tende ad imitarli e quindi non ci si crea un proprio stile. Sicuramente bisogna apprendere dagli altri. Ammirare un bravo artista non significa tentare di imitarlo. Sono d'accordo con lo scrittore Erri De Luca, quando afferma che “non dobbiamo idolatrare uno scrittore e assumere il suo stile di scrittura. Dobbiamo ammirarlo con dolcezza e poi scrollarcelo di dosso”. Questa è una cosa che io ho sempre pensato, da quando ero adolescente. Penso quindi che sia sbagliato avere idoli, sia per quanto riguarda la letteratura, sia la musica e ogni altra forma d'arte; ecco perché “Mito”: ognuno deve essere idolo di se stesso. Questo pseudonimo, al contrario di come può sembrare, non è una forma di presunzione, ma un messaggio che voglio lanciare ai giovani, soprattutto ai giovani artisti esordienti: credete in voi stessi e cercate di non imitare gli altri, siate gli idoli di voi stessi.

Luana Troncanetti: Nel tuo blog pubblichi anche interviste… Quale è stato l’artista che ti ha maggiormente incuriosito o sorpreso?

Domenico Esposito: Direi il doppiatore Niseem Onorato, perché, quando gli domandai il motivo per cui, dopo il viaggio in India avesse cambiato il suo nome da Riccardo a Niseem, lui mi rispose che per spiegarlo ci sarebbe voluta un'intervista a puntate e mi raccontò soltanto che questo nome glielo aveva dato un maestro indiano e mi spiegò il suo significato (Amore Infinito) però non ha voluto raccontarmi quello che è successo nel suo spirito, anche perché immagino sia difficile spiegare una cosa del genere. Mi ha lasciato quindi con questa curiosità. Mi ha molto colpito inoltre per la sua simpatia, anche perché io lo conosco come il doppiatore di Xander, nella serie Buffy - L'ammazzavampiri, dove doppiava per l'appunto un personaggio simpatico, spiritoso, per cui ho trovato questa affinità tra il personaggio e il doppiatore. Un altro artista che mi ha colpito è stato l'attore comico napoletano, Ciro Ceruti, perché nell'intervista io gli facevo delle domande chilometriche e lui invece mi dava risposte molto brevi, ma è stata comunque un'intervista piacevole.

Luana Troncanetti: Sempre parlando del blog, ti è capitato di disquisire pesantemente con un collega sul difficilissimo mestiere dell’esordiente?

Domenico Esposito: Pesantemente nel senso che ci siamo scontrati no, anzi ci siamo dati spesso consigli a vicenda. Io personalmente cerco di aiutare gli esordienti, proprio perché io stesso, essendo anch'io esordiente, sto conoscendo le varie difficoltà che si vanno ad affrontare durante questo cammino. Approfitto anche per fare un appello agli artisti emergenti: dovremmo essere più solidali tra noi.

Luana Troncanetti: Qual è il tuo sogno nel cassetto, oltre ovviamente a quello di diventare uno scrittore affermato?

Domenico Esposito: il mio sogno nel cassetto non è tanto quello di diventare uno scrittore affermato: quello di diventare uno scrittore e di farmi conoscere non è un fine, ma è un mezzo con il quale io tento di diffondere le mie idee. Ecco, forse questo è il mio sogno nel cassetto: diffondere le mie idee con i miei libri, cercando di migliorare la società...anche se so che è difficile.

Luana Troncanetti: Parlaci brevemente e per sommi capi della trama e del messaggio.

Domenico Esposito: Il racconto si apre con le pagine di un diario scritto da un personaggio che ho chiamato Bernardo, un giovane settentrionale che viene a far visita a un amico, senza preavvisarlo, in modo da fargli una sorpresa. Il problema però è che Bernardo non conosce il paese, quindi, si perderà nelle strade e s'imbatterà in certe persone affette da malattie mentali, ovvero, i matti. Ne resterà molto impressionato, quasi spaventato. Teme che possano fargli del male. Presto gli abitanti gli spiegheranno che i matti sono molto più innocui di tante persone che noi comunemente definiamo “sane”. Così Bernardo, non solo non sarà più spaventato dai matti, ma ne sarà addirittura affascinato e divertito! Ecco che però dobbiamo condurre una riflessione: i matti del paese, gli ubriaconi, i cosiddetti “scemi del villaggio”, molto spesso ci fanno ridere, ci divertono; ma dimentichiamo le loro sofferenze. Io non so dirvi che cosa provino quelli che sono nati matti, ma posso immaginare cosa provano quelli che lo sono diventati, perché so quello che hanno subito. Infatti nel romanzo mi sono occupato soprattutto di questo: raccontare le tristi storie e le sofferenze di queste persone diverse ed emarginate, come gli alcolizzati, i matti, certi anziani burberi e soprattutto denuncio la superficialità della gente che anziché compatirli, spesso li schernisce. Oltre che dai matti comunque, Bernardo sarà attratto da un gruppo di giovani particolari che sembrano distaccarsi dal conformismo, nel modo di muoversi, di parlare... Tra questi giovani, lo colpisce uno in particolare: uno che poco prima aveva visto aggirarsi da solo con l'aria nervosa, per le strade del paese, proprio come i matti. Spinto dalla curiosità, Bernardo va a conoscerlo e vede che, nonostante abbia normalmente degli amici, è un ragazzo introverso e taciturno. Bernardo gli confessa di averlo scambiato ERRONEAMENTE per un matto e il giovane gli risponde con questa frase “A volte temo di sembrare alla gente uno dei tanti pazzi del paese, altre volte temo di esserlo, altre volte ancora invece, temo di diventarlo” che è uno dei miei aforismi più citati su internet – in particolare dagli utenti di facebook – ma che molte di quelle persone che lo citano (naturalmente quelle che conoscono l'aforisma e non il libro) fraintendono il suo significato, perché credono che ci si riferisca all'esuberanza della persona: oggi è di moda definirsi “matti” per suscitare simpatia nei confronti altrui o addirittura per giustificarsi quando si fa qualcosa di sciocco. L'aforisma invece si riferisce a quelle persone solitarie che, aggirandosi per il paese, vengono scambiate per matte solo per questo motivo, cioè passeggiare da soli con aria riflessiva. Non so se qui in città è così strano vedere una persona che passeggia da sola, ma in paese, sembra che la gente subito ti scambia per matto o per uno con problemi. Nello scorrere del romanzo, la storia girerà proprio intorno a questo personaggio: Romolo. È lui il vero protagonista. Una delle sue caratteristiche principali è che è un giovane dall’animo sensibile e solidale: si commuove per le tristi storie dei pazzi e degli alcolizzati della propria cittadina; o quando vede un anziano signore umiliato dai teppisti e reso malvagio proprio a causa della cattiveria altrui; quando vede le persone cercare l’elemosina alla stazione di Napoli, quando vede i barboni o una bella ragazza ridotta a prostituirsi (da notare dunque, che il romanzo va a spostarsi anche oltre la cittadina in questione). In queste ultime circostanze, condurrà anche delle riflessioni importanti sulla situazione odierna di Napoli e del Sud, collegandole a riflessioni sulla sua storicità che è quella del Risorgimento e del Regno Delle Due Sicilie: un argomento di cui si è discusso molto negli ultimi anni. Nonostante Romolo abbia bisogno lui stesso di qualcuno che lo incoraggi – o forse proprio per questo - ci sono delle persone che saranno incoraggiate da Romolo: la prima è Barbara, una donna sulla trentina che gestisce un bar e che, essendo divorziata e con due figli, ha paura di non ritrovare più l'amore di un uomo per un rapporto stabile, a causa di pregiudizi. Romolo, sorridendole, le dirà di non perdere mai la speranza. Infine, parlavo poco fa della triste storia di un anziano signore irascibile ed inavvicinabile che ha perso la nobiltà d'animo di quando era giovane. Ebbene, Romolo riuscirà a farlo reintegrare nella società dalla quale si era quasi completamente alienato, gli restituirà il sorriso e la bontà di cuore: ecco come Romolo, pur non rendendosene conto, ha commesso un atto eroico (questa è una considerazione che ho fatto da lettore, non da autore, cioè dopo aver riletto il mio romanzo). Romolo infatti sognava di commettere un atto eroico, ma nel senso di cambiare il sistema (anche se forse potremmo iniziare da piccole cose come queste, cambiando innanzitutto la mentalità della gente). Queste vicende racchiudono l'intero messaggio che voglio trasmettere con il romanzo e cioè quello della solidarietà! Io spero che tutto questo cambierà prima o poi, che riusciremo a “insegnare” alla gente i principi della solidarietà. Io, con questo romanzo, nel mio piccolo, ho cercato di dare il mio contributo.

Luana Troncanetti: Quanto c’è di te in Romolo? Vi somigliate in qualche modo e se sì, perché?

Domenico Esposito: Per quanto riguarda la vita e le esperienze, non credo che sia molto importante sapere se l'autore assomiglia al protagonista, a meno che non si è appassionati di gossip; più che altro mi soffermerei sugli ideali: per quanto riguarda gli ideali sì, ci somigliamo abbastanza, non dico che siamo identici, anche perché gli ideali possono cambiare, maturare con il tempo. Però comunque faccio in modo che il lettore si affezioni al protagonista e apprenda qualcosa da lui. Non sempre il mio intento riesce purtroppo, poiché non tutti i miei lettori - benché abbiano apprezzato il romanzo - hanno anche condiviso i miei ideali e il mio messaggio. Forse questo non è necessariamente un male, da un lato, perché comunque significa che c'è ancora gente che ragiona con la propria testa e non con quello che scrivono gli altri; da un altro lato invece è un male perché comunque i miei messaggi sono a fin di bene. È come se dicessi: “questa è la realtà, stiamo attenti, cambiamo mentalità e comportamento, perché persone come Romolo ci potrebbero soffrire”. Da un lato comunque vorrei essere molto di più somigliante a Romolo, soprattutto per quanto riguarda il suo lato solidale. Cerco di trasmettere un messaggio anche a me stesso, prima che ai miei lettori.

Luana Troncanetti: Quando scrivi, hai bisogno di assoluta concentrazione e silenzio tombale attorno a te, oppure riesci a creare anche con lo stereo a palla?

Domenico Esposito: L'assoluta concentrazione mi serve quando leggo più che altro o quando scrivo per il giornale. Per quanto riguarda la narrativa, no: ascoltando la musica, sono riuscito a scrivere molti racconti e anche alcuni capitoli de La Città dei Matti, ovviamente sempre con la musica che prediligo, anzi, ho addirittura fatto un esperimento: ho iniziato la stesura di un romanzo ispirandomi alle canzoni che ascoltavo...(poi ho scoperto che lo fanno un po' tutti...)

Luana Troncanetti: Stai pensando a un nuovo romanzo? Se sì, puoi raccontarci per sommi capi di cosa tratterà?

Domenico Esposito: Certo, i progetti sono tanti, bisognerà soltanto realizzarli e come ho già detto non sempre è facile. Ho già concluso il mio secondo romanzo (che non è quello tratto dall'esperimento di cui parlavo), deve soltanto essere pubblicato, tratterà molto delle ideologie, delle religioni, dell'ateismo... È ambientato per lo più a Napoli, tra l'estate e l'inverno del 2001. Denuncerò la violenza poliziesca, la violenza in generale, il bullismo; parlerò di razzismo e dei motivi per cui non si può essere razzisti, ma soprattutto è un tentativo di riconciliare il popolo, rispettando le idee altrui: uno dei protagonisti vorrebbe che atei, cristiani, comunisti, liberali e tutti si riunissero per cambiare il sistema senza cercare di imporre le proprie idee altrui, affrontando i problemi che riguardano un po' tutti...non anticipo più nulla.

Di Luana Troncanetti

lunedì 11 luglio 2011

Chi sono gli incivili?

Nell’immaginario collettivo, la gente incivile, che anziché parlare grida, che insulta l’interlocutore, che gli impedisce di dire la sua opinione, tentando di soverchiare a vicenda le proprie grida, e che talvolta arriva persino alle mani – non essendo in grado di reggere il confronto – si trova tra gli abitanti delle case popolari, nei quartieri degradati, tra il popolo e le “menti semplici”, tra quelli che, non avendo proseguito gli studi dopo la quinta elementare o terza media e perciò restando ignoranti, non hanno imparato l’educazione. Al Nord dicono che questo vale soprattutto per il Sud, al Sud dicono che vale soprattutto in Campania, in Campania dicono che vale soprattutto a Napoli e – andando in un contesto più locale – nella Valle Caudina, e in particolare a Cervinara , si dice che ciò valga soprattutto per le case popolari. Basterebbe uscire un po’ per capire che è un altro luogo comune pensare che i vandali e gli incivili non si trovino dappertutto (dalle case popolari al centro del paese, dal paesino di provincia alla città, da Nord a Sud) così come basta farsi una passeggiata nella provincia milanese, per sfatare il mito secondo il quale “al nord non c’è nemmeno una carta a terra”.
Tralasciando la località, qualunque essa sia, stiamo comunque parlando del popolo. Ma è proprio vero che gli incivili si trovano solo tra il popolo e chi non ha ricevuto la giusta educazione scolastica? Basta accendere la televisione per notare come i cosiddetti intellettuali, i politici e tutta questa gente che dovrebbe dare un buon esempio al popolo e che invece, sia di destra sia di sinistra, sia del nord, sia del sud, nelle discussioni si comportano esattamente come “quegli incivili del popolo” o come i cosiddetti “terroni”.
A cominciare da Vittorio Sgarbi che urla contro chiunque non la pensi come lui impedendo di esprimere un’opinione, e litiga pesantemente con la Mussolini la quale, a sua volta, aggredisce e minaccia chi, per esempio, osa dire che anche gli uomini, come le donne (e forse anche di più), subiscono discriminazioni e violenza “di genere”; oppure La Russa che insulta il professore Odifreddi, con frasi e toni volgari del tipo “Lei fa schifo” e si ottura le orecchie per non sentire, come fanno i bambini piccolissimi; o un qualsiasi esponente politico che non lascia parlare uno studente che appartiene ad un collettivo universitario che ha partecipato a delle proteste e vuole spiegare le motivazioni. Per non parlare dell’inciviltà, la cafonaggine e la maleducazione dei leghisti del nord che si permettono pure di fare luoghi comuni sull’inciviltà dei cittadini meridionali. E poi ci sono i furboni mediatici come Barbara D’Urso che nel suo programma mediocre invita ospiti che la pensano tutti allo stesso modo e uno che la pensa diversamente, in modo tale che venga subito aggredito e zittito da tutti gli altri, conduttrice compresa che, con qualche banale frase che ha sentito di dire in giro, suscita l’applauso delle pecore che belano tra il pubblico, che probabilmente non capiscono nemmeno le sue affermazioni o comunque non ci riflettono profondamente e l’accettano con superficialità. E allora chi sono gli incivili? Quelli del nord o quelli del sud? Quelli del popolo o quelli che ci governano? Quelli delle case popolari o quelli che abitano in paese o in città? Nulla si può categorizzare per nulla e in nulla. E’come se chiedessi se è più intelligente l’uomo o la donna. Sfatando tutti questi luoghi comuni, una cosa è certa: ognuno guarda la pagliuzza negli occhi altrui e non la trave nei propri occhi.
Infine, penso che non sia un’esagerazione, dunque, affermare che si discute molto meglio e con più diplomazia davanti a un bar che con questi che chiamiamo intellettuali ma che più incivili non ce ne sono. Loro danno cattivo esempio al popolo, per cui, sarebbe ora che fossimo noi a dare buon esempio a loro.

Domenico Esposito Mito