mercoledì 27 luglio 2011

La Città Dei Matti presentazione alla Libreria Rinascita Caffè (Roma) articolo su IL CAUDINO



Intervista integrale:

Luana Troncanetti: Domenico, so che ti sei stancato di spiegare il motivo per cui ti chiamano Mito. Vuoi allora raccontarci chi sono i tuoi miti?

Domenico Esposito: Con questa domanda mi costringi a spiegarti lo stesso perché mi faccio chiamare Mito: proprio perché io di miti non ne ho, penso che ognuno debba credere in se stesso: quando si hanno gli idoli, si tende ad imitarli e quindi non ci si crea un proprio stile. Sicuramente bisogna apprendere dagli altri. Ammirare un bravo artista non significa tentare di imitarlo. Sono d'accordo con lo scrittore Erri De Luca, quando afferma che “non dobbiamo idolatrare uno scrittore e assumere il suo stile di scrittura. Dobbiamo ammirarlo con dolcezza e poi scrollarcelo di dosso”. Questa è una cosa che io ho sempre pensato, da quando ero adolescente. Penso quindi che sia sbagliato avere idoli, sia per quanto riguarda la letteratura, sia la musica e ogni altra forma d'arte; ecco perché “Mito”: ognuno deve essere idolo di se stesso. Questo pseudonimo, al contrario di come può sembrare, non è una forma di presunzione, ma un messaggio che voglio lanciare ai giovani, soprattutto ai giovani artisti esordienti: credete in voi stessi e cercate di non imitare gli altri, siate gli idoli di voi stessi.

Luana Troncanetti: Nel tuo blog pubblichi anche interviste… Quale è stato l’artista che ti ha maggiormente incuriosito o sorpreso?

Domenico Esposito: Direi il doppiatore Niseem Onorato, perché, quando gli domandai il motivo per cui, dopo il viaggio in India avesse cambiato il suo nome da Riccardo a Niseem, lui mi rispose che per spiegarlo ci sarebbe voluta un'intervista a puntate e mi raccontò soltanto che questo nome glielo aveva dato un maestro indiano e mi spiegò il suo significato (Amore Infinito) però non ha voluto raccontarmi quello che è successo nel suo spirito, anche perché immagino sia difficile spiegare una cosa del genere. Mi ha lasciato quindi con questa curiosità. Mi ha molto colpito inoltre per la sua simpatia, anche perché io lo conosco come il doppiatore di Xander, nella serie Buffy - L'ammazzavampiri, dove doppiava per l'appunto un personaggio simpatico, spiritoso, per cui ho trovato questa affinità tra il personaggio e il doppiatore. Un altro artista che mi ha colpito è stato l'attore comico napoletano, Ciro Ceruti, perché nell'intervista io gli facevo delle domande chilometriche e lui invece mi dava risposte molto brevi, ma è stata comunque un'intervista piacevole.

Luana Troncanetti: Sempre parlando del blog, ti è capitato di disquisire pesantemente con un collega sul difficilissimo mestiere dell’esordiente?

Domenico Esposito: Pesantemente nel senso che ci siamo scontrati no, anzi ci siamo dati spesso consigli a vicenda. Io personalmente cerco di aiutare gli esordienti, proprio perché io stesso, essendo anch'io esordiente, sto conoscendo le varie difficoltà che si vanno ad affrontare durante questo cammino. Approfitto anche per fare un appello agli artisti emergenti: dovremmo essere più solidali tra noi.

Luana Troncanetti: Qual è il tuo sogno nel cassetto, oltre ovviamente a quello di diventare uno scrittore affermato?

Domenico Esposito: il mio sogno nel cassetto non è tanto quello di diventare uno scrittore affermato: quello di diventare uno scrittore e di farmi conoscere non è un fine, ma è un mezzo con il quale io tento di diffondere le mie idee. Ecco, forse questo è il mio sogno nel cassetto: diffondere le mie idee con i miei libri, cercando di migliorare la società...anche se so che è difficile.

Luana Troncanetti: Parlaci brevemente e per sommi capi della trama e del messaggio.

Domenico Esposito: Il racconto si apre con le pagine di un diario scritto da un personaggio che ho chiamato Bernardo, un giovane settentrionale che viene a far visita a un amico, senza preavvisarlo, in modo da fargli una sorpresa. Il problema però è che Bernardo non conosce il paese, quindi, si perderà nelle strade e s'imbatterà in certe persone affette da malattie mentali, ovvero, i matti. Ne resterà molto impressionato, quasi spaventato. Teme che possano fargli del male. Presto gli abitanti gli spiegheranno che i matti sono molto più innocui di tante persone che noi comunemente definiamo “sane”. Così Bernardo, non solo non sarà più spaventato dai matti, ma ne sarà addirittura affascinato e divertito! Ecco che però dobbiamo condurre una riflessione: i matti del paese, gli ubriaconi, i cosiddetti “scemi del villaggio”, molto spesso ci fanno ridere, ci divertono; ma dimentichiamo le loro sofferenze. Io non so dirvi che cosa provino quelli che sono nati matti, ma posso immaginare cosa provano quelli che lo sono diventati, perché so quello che hanno subito. Infatti nel romanzo mi sono occupato soprattutto di questo: raccontare le tristi storie e le sofferenze di queste persone diverse ed emarginate, come gli alcolizzati, i matti, certi anziani burberi e soprattutto denuncio la superficialità della gente che anziché compatirli, spesso li schernisce. Oltre che dai matti comunque, Bernardo sarà attratto da un gruppo di giovani particolari che sembrano distaccarsi dal conformismo, nel modo di muoversi, di parlare... Tra questi giovani, lo colpisce uno in particolare: uno che poco prima aveva visto aggirarsi da solo con l'aria nervosa, per le strade del paese, proprio come i matti. Spinto dalla curiosità, Bernardo va a conoscerlo e vede che, nonostante abbia normalmente degli amici, è un ragazzo introverso e taciturno. Bernardo gli confessa di averlo scambiato ERRONEAMENTE per un matto e il giovane gli risponde con questa frase “A volte temo di sembrare alla gente uno dei tanti pazzi del paese, altre volte temo di esserlo, altre volte ancora invece, temo di diventarlo” che è uno dei miei aforismi più citati su internet – in particolare dagli utenti di facebook – ma che molte di quelle persone che lo citano (naturalmente quelle che conoscono l'aforisma e non il libro) fraintendono il suo significato, perché credono che ci si riferisca all'esuberanza della persona: oggi è di moda definirsi “matti” per suscitare simpatia nei confronti altrui o addirittura per giustificarsi quando si fa qualcosa di sciocco. L'aforisma invece si riferisce a quelle persone solitarie che, aggirandosi per il paese, vengono scambiate per matte solo per questo motivo, cioè passeggiare da soli con aria riflessiva. Non so se qui in città è così strano vedere una persona che passeggia da sola, ma in paese, sembra che la gente subito ti scambia per matto o per uno con problemi. Nello scorrere del romanzo, la storia girerà proprio intorno a questo personaggio: Romolo. È lui il vero protagonista. Una delle sue caratteristiche principali è che è un giovane dall’animo sensibile e solidale: si commuove per le tristi storie dei pazzi e degli alcolizzati della propria cittadina; o quando vede un anziano signore umiliato dai teppisti e reso malvagio proprio a causa della cattiveria altrui; quando vede le persone cercare l’elemosina alla stazione di Napoli, quando vede i barboni o una bella ragazza ridotta a prostituirsi (da notare dunque, che il romanzo va a spostarsi anche oltre la cittadina in questione). In queste ultime circostanze, condurrà anche delle riflessioni importanti sulla situazione odierna di Napoli e del Sud, collegandole a riflessioni sulla sua storicità che è quella del Risorgimento e del Regno Delle Due Sicilie: un argomento di cui si è discusso molto negli ultimi anni. Nonostante Romolo abbia bisogno lui stesso di qualcuno che lo incoraggi – o forse proprio per questo - ci sono delle persone che saranno incoraggiate da Romolo: la prima è Barbara, una donna sulla trentina che gestisce un bar e che, essendo divorziata e con due figli, ha paura di non ritrovare più l'amore di un uomo per un rapporto stabile, a causa di pregiudizi. Romolo, sorridendole, le dirà di non perdere mai la speranza. Infine, parlavo poco fa della triste storia di un anziano signore irascibile ed inavvicinabile che ha perso la nobiltà d'animo di quando era giovane. Ebbene, Romolo riuscirà a farlo reintegrare nella società dalla quale si era quasi completamente alienato, gli restituirà il sorriso e la bontà di cuore: ecco come Romolo, pur non rendendosene conto, ha commesso un atto eroico (questa è una considerazione che ho fatto da lettore, non da autore, cioè dopo aver riletto il mio romanzo). Romolo infatti sognava di commettere un atto eroico, ma nel senso di cambiare il sistema (anche se forse potremmo iniziare da piccole cose come queste, cambiando innanzitutto la mentalità della gente). Queste vicende racchiudono l'intero messaggio che voglio trasmettere con il romanzo e cioè quello della solidarietà! Io spero che tutto questo cambierà prima o poi, che riusciremo a “insegnare” alla gente i principi della solidarietà. Io, con questo romanzo, nel mio piccolo, ho cercato di dare il mio contributo.

Luana Troncanetti: Quanto c’è di te in Romolo? Vi somigliate in qualche modo e se sì, perché?

Domenico Esposito: Per quanto riguarda la vita e le esperienze, non credo che sia molto importante sapere se l'autore assomiglia al protagonista, a meno che non si è appassionati di gossip; più che altro mi soffermerei sugli ideali: per quanto riguarda gli ideali sì, ci somigliamo abbastanza, non dico che siamo identici, anche perché gli ideali possono cambiare, maturare con il tempo. Però comunque faccio in modo che il lettore si affezioni al protagonista e apprenda qualcosa da lui. Non sempre il mio intento riesce purtroppo, poiché non tutti i miei lettori - benché abbiano apprezzato il romanzo - hanno anche condiviso i miei ideali e il mio messaggio. Forse questo non è necessariamente un male, da un lato, perché comunque significa che c'è ancora gente che ragiona con la propria testa e non con quello che scrivono gli altri; da un altro lato invece è un male perché comunque i miei messaggi sono a fin di bene. È come se dicessi: “questa è la realtà, stiamo attenti, cambiamo mentalità e comportamento, perché persone come Romolo ci potrebbero soffrire”. Da un lato comunque vorrei essere molto di più somigliante a Romolo, soprattutto per quanto riguarda il suo lato solidale. Cerco di trasmettere un messaggio anche a me stesso, prima che ai miei lettori.

Luana Troncanetti: Quando scrivi, hai bisogno di assoluta concentrazione e silenzio tombale attorno a te, oppure riesci a creare anche con lo stereo a palla?

Domenico Esposito: L'assoluta concentrazione mi serve quando leggo più che altro o quando scrivo per il giornale. Per quanto riguarda la narrativa, no: ascoltando la musica, sono riuscito a scrivere molti racconti e anche alcuni capitoli de La Città dei Matti, ovviamente sempre con la musica che prediligo, anzi, ho addirittura fatto un esperimento: ho iniziato la stesura di un romanzo ispirandomi alle canzoni che ascoltavo...(poi ho scoperto che lo fanno un po' tutti...)

Luana Troncanetti: Stai pensando a un nuovo romanzo? Se sì, puoi raccontarci per sommi capi di cosa tratterà?

Domenico Esposito: Certo, i progetti sono tanti, bisognerà soltanto realizzarli e come ho già detto non sempre è facile. Ho già concluso il mio secondo romanzo (che non è quello tratto dall'esperimento di cui parlavo), deve soltanto essere pubblicato, tratterà molto delle ideologie, delle religioni, dell'ateismo... È ambientato per lo più a Napoli, tra l'estate e l'inverno del 2001. Denuncerò la violenza poliziesca, la violenza in generale, il bullismo; parlerò di razzismo e dei motivi per cui non si può essere razzisti, ma soprattutto è un tentativo di riconciliare il popolo, rispettando le idee altrui: uno dei protagonisti vorrebbe che atei, cristiani, comunisti, liberali e tutti si riunissero per cambiare il sistema senza cercare di imporre le proprie idee altrui, affrontando i problemi che riguardano un po' tutti...non anticipo più nulla.

Di Luana Troncanetti

lunedì 11 luglio 2011

Chi sono gli incivili?

Nell’immaginario collettivo, la gente incivile, che anziché parlare grida, che insulta l’interlocutore, che gli impedisce di dire la sua opinione, tentando di soverchiare a vicenda le proprie grida, e che talvolta arriva persino alle mani – non essendo in grado di reggere il confronto – si trova tra gli abitanti delle case popolari, nei quartieri degradati, tra il popolo e le “menti semplici”, tra quelli che, non avendo proseguito gli studi dopo la quinta elementare o terza media e perciò restando ignoranti, non hanno imparato l’educazione. Al Nord dicono che questo vale soprattutto per il Sud, al Sud dicono che vale soprattutto in Campania, in Campania dicono che vale soprattutto a Napoli e – andando in un contesto più locale – nella Valle Caudina, e in particolare a Cervinara , si dice che ciò valga soprattutto per le case popolari. Basterebbe uscire un po’ per capire che è un altro luogo comune pensare che i vandali e gli incivili non si trovino dappertutto (dalle case popolari al centro del paese, dal paesino di provincia alla città, da Nord a Sud) così come basta farsi una passeggiata nella provincia milanese, per sfatare il mito secondo il quale “al nord non c’è nemmeno una carta a terra”.
Tralasciando la località, qualunque essa sia, stiamo comunque parlando del popolo. Ma è proprio vero che gli incivili si trovano solo tra il popolo e chi non ha ricevuto la giusta educazione scolastica? Basta accendere la televisione per notare come i cosiddetti intellettuali, i politici e tutta questa gente che dovrebbe dare un buon esempio al popolo e che invece, sia di destra sia di sinistra, sia del nord, sia del sud, nelle discussioni si comportano esattamente come “quegli incivili del popolo” o come i cosiddetti “terroni”.
A cominciare da Vittorio Sgarbi che urla contro chiunque non la pensi come lui impedendo di esprimere un’opinione, e litiga pesantemente con la Mussolini la quale, a sua volta, aggredisce e minaccia chi, per esempio, osa dire che anche gli uomini, come le donne (e forse anche di più), subiscono discriminazioni e violenza “di genere”; oppure La Russa che insulta il professore Odifreddi, con frasi e toni volgari del tipo “Lei fa schifo” e si ottura le orecchie per non sentire, come fanno i bambini piccolissimi; o un qualsiasi esponente politico che non lascia parlare uno studente che appartiene ad un collettivo universitario che ha partecipato a delle proteste e vuole spiegare le motivazioni. Per non parlare dell’inciviltà, la cafonaggine e la maleducazione dei leghisti del nord che si permettono pure di fare luoghi comuni sull’inciviltà dei cittadini meridionali. E poi ci sono i furboni mediatici come Barbara D’Urso che nel suo programma mediocre invita ospiti che la pensano tutti allo stesso modo e uno che la pensa diversamente, in modo tale che venga subito aggredito e zittito da tutti gli altri, conduttrice compresa che, con qualche banale frase che ha sentito di dire in giro, suscita l’applauso delle pecore che belano tra il pubblico, che probabilmente non capiscono nemmeno le sue affermazioni o comunque non ci riflettono profondamente e l’accettano con superficialità. E allora chi sono gli incivili? Quelli del nord o quelli del sud? Quelli del popolo o quelli che ci governano? Quelli delle case popolari o quelli che abitano in paese o in città? Nulla si può categorizzare per nulla e in nulla. E’come se chiedessi se è più intelligente l’uomo o la donna. Sfatando tutti questi luoghi comuni, una cosa è certa: ognuno guarda la pagliuzza negli occhi altrui e non la trave nei propri occhi.
Infine, penso che non sia un’esagerazione, dunque, affermare che si discute molto meglio e con più diplomazia davanti a un bar che con questi che chiamiamo intellettuali ma che più incivili non ce ne sono. Loro danno cattivo esempio al popolo, per cui, sarebbe ora che fossimo noi a dare buon esempio a loro.

Domenico Esposito Mito

martedì 31 maggio 2011

Intervista a Pietro De Bonis (scrittore e poeta)

Amo la poesia forse addirittura più della narrativa e sarà, forse, proprio per questo che prima di ritornare a cimentarmi a scriverla, ho esitato persino a “toccarla”: oggi fare poesia è difficile, ci vuole coraggio, anche perché agli altri risulta difficile persino comprenderla. Rimango, infatti, sempre più deluso da alcune poesie adolescenziali, troppo semplici, quasi banali e, nonostante ciò, sopravvalutate e premiate. Rimango, quindi, deluso soprattutto dalle giurie che, invece, non riconoscono quei rarissimi adolescenti che veramente valgono e meritano (poiché la poesia è un'arte e l'arte non appartiene a tutti).
L'artista che intervisterò oggi, però, non è un adolescente, ma un giovane di ventisette anni: Pietro De Bonis, nato a Roma, che ha pubblicato il suo primo libro di poesie intitolato “Tempeste Puniche”, edizioni Il Filo. Pietro De Bonis ha frequentato la Facoltà di Lettere dell’Università di Tor Vergata, poi ha intrapreso la strada della recitazione e della fotografia. Conosciamolo e vediamo cosa ne pensa.

Ciao, Pietro, ti do il benvenuto.

A proposito di ciò che dicevo nell'introduzione: perché, secondo te, molti giovani che scrivono poesie sono sopravvalutati, mentre altri più validi sono sottovalutati, soprattutto nei Premi Letterari?

Ciao! A questa domanda non saprei risponderti in modo approfondito, in quanto non ho mai avuto modo di venire a conoscenza di persone e poesie premiate con una valutazione eccessiva. Al contrario, posso dirti che riscontro nella gente, soprattutto i giovani di oggi, una sottovalutazione del genere letterario poetico. Quasi venga, non voglio dire evitato, ma sicuramente scansato, come se le poesie appartenessero ancora a una reminiscenza scolastica, per questo fastidiosa, orticante, riconducibile solo a un discorso legato a parole messe lì a fare rima. La poesia non è rap. Questo per me è un pensiero inqualificabile, in quanto riduce di molto, di troppo, il significato e la bellezza della poesia e conseguentemente la bravura del poeta. La poesia non è affatto scontata, sono scontati gli occhi che non sanno leggerla. Poi, riagganciandomi al discorso iniziale, sta sempre all'individuo cercare di farsi valutare più che può, di farsi conoscere più che può, così da estendere la propria cerchia di lettori e aumentare i consensi o, come anche logico, i dissensi.

Una domanda, forse, poco originale, ma che sorge spontanea: quando e come ti sei accorto di essere un poeta e di amare la poesia?

Tutto ciò che sorge spontaneo non è affatto poco originale. Vedi, la mia poesia è sorta spontanea. Ho iniziato a buttare giù qualche riga senza mai aver letto prima un libro, le parole sono venute da se, innate e insite in me. Il primo a esserne sorpreso è stato proprio il sottoscritto, a volte mi svegliavo nel cuore della notte con dei versi in mente e li scrivevo su un pezzo di carta e poi li riprendevo l’indomani, li aggiustavo e concludevo il senso, uscivano suoni dalla mia bocca, fantastici. Amo la poesia perché credo di amare la vita e le persone che ne fanno parte, e amo me, la mia arte, la mia persona. Anche se sinceramente essere definito "poeta" un po' mi appesantisce, io debbo crescere ancora tanto per giungere a quel titolo.

C'è un poeta o una corrente letteraria che ami particolarmente?

Amo Alda Merini. Ti do un'anticipazione, vi sarà una poesia dedicata a lei nella mia prossima (si spera) pubblicazione. Non coltivo passioni per le correnti letterarie, mi piace scoprire gli individui singolarmente, li estrapolo da qualsiasi periodo mondiale.

Spiegaci un po' il titolo della raccolta, perché proprio “Tempeste Puniche”?

Il titolo intero è Tempeste Puniche, Il Profumo della Quiete. Rappresenta un passaggio di testimone, ossia dalle tempeste interiori che si hanno nel corso della propria vita, soprattutto adolescenziale, sino al profumo della quiete, ossia a quella sensazione che forse il peggio sia passato e che il bello, sempre più bello, è dietro l'angolo, basta solo avere il coraggio di arrivarci e fargli... tana!

Scrivi solo poesie o ti cimenti anche nella prosa?

Scrivo poesie e prose, ma mi sto cimentando anche nel romanzo, confido molto anche in quello, e in me che lo scrivo. Se avrete la pazienza e io la fortuna di pubblicare, mi leggerete anche a pie' pagine.

Qual è la poesia che, in questa tua raccolta, ti è più cara? E perché?

La più cara è "Lettera aperta al cielo", la poesia conclusiva del libro, perché è dedicata a mia madre, come l'intera raccolta, del resto.

Quali altri progetti nell'ambito letterario e, visto che vedo che sei anche attore, nel campo della recitazione?

Anche qui andiamo calmi a definirmi attore, mi diverto solo a recitare sul palco con i fantastici amici della mia compagnia teatrale dei "folliattori", nulla più di questo. Come progetti, ti ripeto, ho il romanzo e una nuova raccolta di poesie.

Pietro, non mi rimane che ringraziarti e farti tanti in bocca al lupo per tutto! Un saluto!

Grazie infinite a te! Alla prossima! Ciao!

Domenico Esposito Mito, scrittore e giornalista


Rinascimento - Pietro De Bonis

Il profumo della quiete.
Delle foglie d’abete.
Il respiro interno.
L’odore del vento.
La libertà sulla pelle.
Rinascimento.

domenica 29 maggio 2011

Intervista a Francesco Ferrazzo (cantante)

È da poco uscito l'album del cantante Francesco Ferrazzo "Goccia dopo goccia."
Francesco Ferrazzo nasce a Verbania nel 1976. Inizia a studiare organo all’età di 8 anni per poi proseguire con il pianoforte. La prima esibizione dal vivo è stata a 13 anni. Per anni è stato tastierista in diverse formazioni di covers pop-rock. Collabora negli arrangiamenti per alcuni artisti, come Luisa Parrelli, con la quale produce il singolo Temporale da un motel, inserito in una compilation dei migliori artisti Varesini. Verso i 20 anni inizia a scrivere canzoni, oltre a collaborare ad arrangiamenti di colonne sonore per il teatro. Realizzato un demo-CD intitolato A testa in giù. Si classifica semifinalista per due edizioni consecutive del Premio Recanati (2001-2002), e vince la targa per il secondo classificato, al Premio Lunezia 2002. Si è esibito dal vivo in formazioni acustiche. Ha aperto uno spettacolo milanese di Luigi Grechi nel giugno 2003 per la rassegna Acrobatici Anfibi in collaborazione con La Brigata Lolli. Parallelamente all’attività di cantautore, era il tastierista della cover band Cantesia di supporto al cantante Carmine Cirillo, e nel 2007 ha partecipato come musicista al progetto Allez Coppi della compagnia teatrale Sipario. Nello stesso anno incide il singolo Di cosa ha bisogno la gente, incluso in una compilation intitolata Make Up, Not War, prodotta in collaborazione con il Comune di Verbania.

Ciao, Francesco, ti do il benvenuto


Ciao! Grazie mille.

Tu hai iniziato a studiare musica alla tenera età di otto anni: cosa ha spinto un bambino di soli otto anni a studiare l'organo? È stato qualcosa che è nato esclusivamente dal tuo cuore oppure c'è stata un po' d'influenza da parte di qualcuno?

Mi ricordo che i miei genitori mi regalarono una melodica a bocca (di quelle per bambini, con i tasti colorati) e fui folgorato dai suoni che emetteva. Forse l'educazione che mi diedero all'ascolto della musica, che allora girava solo su 45-33giri o su cassetta, fu determinante. Mi ricordo che sul giradischi di casa si suonavano spesso album di Jaques Brel, Bob Dylan, Dire Straits, ma anche di classica, la Moldava di Smetana, Le opere di Verdi, il Concerto d'Aranjuez. Vista questa mia passione nell'ascolto e nel suonare la melodica, i miei mi iscrissero ad un corso di organo elettronico, e da li iniziò tutto.

Quali sono le difficoltà che s'incontrano durante il cammino nell'ambito musicale? E come si fa a superarle?

Quella più grossa è l'attenzione da parte dei media e da parte delle case discografiche. Non è un caso se questo cd è autoprodotto. Ho dovuto aspettare di avere la disponibilità economica e la maturità tecnica per farlo autonomamente, certamente con la collaborazione di professionisti che comunque hanno preso parte al progetto con grande passione. Spiace dover constatare che al momento le case discografiche non investono più quasi per niente (qualcuno mi direbbe "togli pure il quasi") sulle "nuove proposte". L'altro grosso scoglio è la promozione... e vedremo anche li se saremo fortunati. In generale posso dire che l'attenzione per i giovani è sempre più legata ad ambiti puramente usa e getta come i "Talent show", oppure a particolari "club di giornalisti" difficili da avvicinare...

Ci sono molti musicisti, giovani e meno giovani, che pur essendo molto validi e talentuosi, rimangono emergenti e non riescono ad arrivare nemmeno dove sei arrivato tu, cioè alla pubblicazione del primo album: è perché non s'impegnano abbastanza o perché anche nella musica esiste una sorta di corruzione che talvolta impedisce di avere successo a chi ha talento?

Mah, forse ti ho risposto involontariamente nella risposta precedente. In realtà bisogna avere grande costanza e passione... molti artisti, per tanti motivi, tra cui anche le continue delusioni (perché ce ne sono tante lungo la strada) dopo un po' di tentativi perdono la convinzione. Io non mi sono perso d'animo, e sono soddisfatto del percorso che mi ha portato qui, e del risultato. Sono sicuro che chi lo ascolterà, per quanto sarà difficile la promozione, potrà apprezzarne quantomeno la passione (di tutti quelli che vi hanno preso parte) con cui è stato realizzato questo cd. E ancora di più, spero, le mie stesse canzoni!

Che consigli daresti a questi artisti meno fortunati?

Quello che tutti gli artisti famosi (quelli già "arrivati") consigliano, alla fine penso sia vero. Non mollare... se senti di avere veramente qualcosa da dire, devi continuare a provare, e migliorarti sempre di più, mettendoti alla prova e imparando.

Hai uno o più cantanti che ammiri in particolare e ai quali magari t'ispiri

Sono cresciuto con la musica di Van Morrison, dei Dire Straits, di Sting, Peter Gabriel, Fossati, e tanti altri. Penso che molti di questi abbiano lasciato segni molto riconoscibili nella mia musica.

Durante tutta la tua carriera da cantautore, ti sei affezionato a qualche tua canzone in particolare che ti è più cara delle altre?

Beh più o meno a tutte, per ragioni diverse e in tempi diversi, molte non sono neanche state inserite nel cd per questioni logistiche e di scaletta, ma devo dire che Goccia dopo goccia (che ha dato il titolo al CD), è una delle mie più riuscite e ispirate, a cui più sono legato. E Tranne che a te, per l'intensità emotiva che mi trasmette ogni volta da quando l'ho scritta. La stessa intensità che i musicisti hanno saputo ben ricevere e restituire suonandola in una versione bellissima.

Altri progetti per il futuro?

Al momento mi occupo della promozione che si basa sui concerti che stiamo allestendo e che inizieranno da quest'estate, e su un forte passaparola di cui abbiamo tanto bisogno. Ne approfitto per segnalare il sito dove è possibile acquistare il disco con Paypal o iTunes e collegarsi a tutti i social networks (Facebook, Myspace, YouTube, ecc...) per il preascolto e tutte le news.

Grazie, Francesco, ti faccio le mie congratulazioni e tanti in bocca al lupo.

Grazie mille, e buon ascolto a chiunque abbia la curiosità di provare!

di: Domenico Esposito Mito, scrittore e giornalista

giovedì 26 maggio 2011

Intervista ad Antifeminist (giornale antifemminista italiano)

Nella seguente intervista non parleremo di arte o di letteratura, ma di un fenomeno sociale. Sicuramente tutti abbiamo sentito parlare di femminismo, almeno una volta nella vita, ma non tutti si sono chiesti che cosa sia: c'è chi dà per scontato che sia sessismo al femminile, quindi il maschilismo all'inverso (ma non lo ritiene un fenomeno diffuso, bensì solo un'ideologia, magari poco considerata) e chi dà per scontato che sia nato per la lotta per la parità dei sessi. Se esso, dunque, si batte per la parità, che bisogno c'è di creare movimenti maschili che combattono il femminismo? Sono movimenti misogini e maschilisti? A queste domande ci risponderà il responsabile del giornale virtuale antifemminista italiano "Antifeminist".

La prima domanda è questa: se il femminismo nasce come lotta per la parità dei sessi, perché lo combattete? Cosa avete contro la parità dei sessi?

Antifeminist: Il femminismo non è nato come lotta per la parità dei sessi, già le femministe di fine 1800 parlavano di "futuro mondo delle donne", di "partenogenesi", di "distruzione della famiglia", e quindi di Suprematismo Femminile. Ho affrontato la questione nel mio articolo "Il Femminismo Buono, la Prima Ondata". L'espressione "parità dei sessi" è stato un furbo espediente propagandistico, usato a mo' di cavallo di troia per introdurre subdolamente nella società il Suprematismo Femminile. Ora che le femministe si sentono abbastanza sicure della loro presa di potere in questa società, lo stanno annunciando in modo sempre più esplicito e sfacciato. La femminista ebrea-americana Hanna Rosin, autrice di un articolo che ha fatto molto discutere nei media inglesi qualche mese fa ("La fine degli uomini"), è una di queste femministe che finalmente si son tolte la maschera e stanno dicendo apertamente quello che hanno sempre pensato. I "maschi" vanno declassati a cittadini di serie B, e il mondo del futuro dovrà essere il "mondo delle donne".


Gli antifemministi sconsigliano di sposarsi, ma non solo: anche di fare figli e persino di convivere: potreste spiegarci perché? Non sono mica tutte uguali le donne!

Antifeminist: Le donne non sono tutte uguali, ma il sistema non tutela gli uomini. Un uomo che si sposa è un imbecille, perché sta firmando un contratto che dice che esiste una possibilità su due di perdere casa, soldi e figli. Quale persona firmerebbe mai un contratto simile, solo per una questione "simbolica", come è appunto il matrimonio? Per i figli la questione è un'altra: fare figli fuori dal matrimonio non è consigliabile, perché sarebbe un atto di egoismo puro privare il bambino della figura materna o paterna. Per quanto riguarda la convivenza: pochi giorni alla settimana vanno bene, ma convivenza fissa è da evitare, non si sa mai che facciano leggi retroattive per equiparare le convivenze al matrimonio.

Se siete contro il matrimonio, i figli e anche la convivenza: qual è l'alternativa? Come fare nel caso in cui ci s'innamora? Che vita dovrebbe condurre l'uomo contemporaneo?

Antifeminist: Ognuno a casa propria. Tanto le femmine non ne soffrirebbero: "una donna ha bisogno di un uomo tanto quanto un pesce di una bicicletta", dicevano le femministe. E anche se ne dovessero soffrire, non sono problemi nostri: loro, dicono sempre, sono "forti emancipate e indipendenti". Se è così, si emancipino una volta per tutte dall'odiato maschio, e iniziassero a lesbicare fra di loro.

Esistono delle discriminazioni di genere? Quali leggi discriminano veramente le donne e quali discriminano gli uomini?

Antifeminist: Leggi che discriminano le donne, esistono: sono le discriminazioni "positive", quelle leggi cioè che avvantaggiano le donne a discapito degli uomini. Quote rosa, agevolazioni per l'imprenditoria femminile, test fisici a standard ribassato per entrare nelle Forze Armate, etc.etc. Ognuna di queste discriminazioni "positive", rappresenta una discriminazione "negativa" per gli uomini. La discriminazione più grave, comunque, che colpisce gli uomini, è quella che ha dato vita al fenomeno dei padri separati, cioè uomini che per un capriccio di una femmina finiscono per perdere casa, soldi e figli.

La legge sull'aborto, la disoccupazione femminile, il fatto che vi siano pochissime manager femmine e che le donne guadagnino meno degli uomini, non vi sembrano discriminazioni?

Antifeminist: L'attuale legge sull'aborto è femminista, la disoccupazione femminile è colpa delle femmine stesse, le manager femmine non ci sono in gran numero perché evidentemente meno capaci e competitive dei colleghi uomini, e per finire le donne guadagnano meno degli uomini perché scelgono lavori peggio retribuiti. Ma per lo stesso lavoro e con pari esperienza uomini e donne vengono pagati uguale. È una menzogna femminista quella secondo cui le femmine a parità di mansione ricevono stipendi più bassi: se le femmine davvero guadagnassero di meno a parità di mansione, quale imbecille assumerebbe maschi, sapendo che potrebbe assumere dipendenti femmine pagandole di meno?

Parliamo, invece, della violenza sulle donne: Yara Gambirasi, Sarah Scazzi, Melania Rea ecc., non sono chiari esempi di odio contro il genere femminile?

Antifeminist: Yara non si sa ancora chi l'ha uccisa, Sarah Scazzi probabilmente è stata uccisa da femmine, e stessa cosa forse anche per Melania Rea. Non esiste alcun odio contro il genere femminile. Le persone che uccidono, uomini o donne, rappresentano una percentuale microscopica rispetto alla popolazione totale. Prendere casi isolati di persone mentalmente labili, per demonizzare un intero genere, è un metodo disonesto che le femministe usano contro gli uomini per sfogare un po' della loro misandria e per preparare il terreno a leggi liberticide anti-maschili.

Vi sono delle teorie scientifiche, secondo le quali, le donne sarebbero superiori agli uomini e anche delle indagini secondo le quali le donne sono più brave a lavoro e/o a scuola: non credete nemmeno in questo? Soprattutto se a dirlo è la scienza?

Antifeminist: La scienza ha detto tante cose nel corso della storia, anche immense stupidaggini. La scienza generalmente si piega ai dogmi dominanti dell'epoca, e l'epoca nella quale stiamo vivendo ora è femminista. Quindi la scienza si adegua(ed è falsa scienza).

Pedofilia: siete contrari anche alla castrazione chimica? Quale può essere, dunque la soluzione, per quanto riguarda pedofili e stupratori? E soprattutto, quali possono essere le cause?

Antifeminist: Le cause sono da ricercarsi in disturbi mentali dell'individuo, possibilmente da curare in cliniche apposite.

Qual è il rapporto dell'antifemminismo con la politica e la religione? Fate riferimento a un'ideologia o una religione in particolare?

Antifeminist: No, non facciamo riferimento a nessuna area politica o religiosa. Ogni antifemminista poi è un mondo a sé, ci sono quelli di destra, di sinistra, apartitici, cristiani, atei, buddisti, agnostici ecc. Insomma, l'antifemminismo non è inquadrabile in una categoria politica, e tanto meno religiosa, ben definita.

A proposito di politica, alcuni leghisti e fascisti dicono di essere antifemministi, ma per pedofili e stupratori propongono le stesse soluzioni delle femministe: cosa ne pensano i movimenti antifemministi di questo?

Antifemnist: Non ho mai sentito leghisti o fascisti definirsi antifemministi. I fascisti istituirono un "Servizio Ausiliario Femminile", cioè il "femminismo fascista", e Edda Mussolini disse che "la patria è donna". Per quanto riguarda le pene che propongono per pedofili e stupratori, che abbiano una certa affinità con le femministe non mi sorprende.

Di: Domenico Esposito Mito, scrittore e giornalista

mercoledì 4 maggio 2011

Intervista a Vittoria Coppola, autrice del romanzo “Fino all'altra fermata – Chi ama sa”.

Vittoria Coppola è nata a Casarano e vive a Taviano. È laureata in Lingue e Letterature Straniere. Fino all'altra fermata (Edizioni Il Filo, Gruppo Albatros) è la sua prima pubblicazione.

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Ciao, Vittoria, ti do il benvenuto

Buongiorno e grazie a te!

Vuoi spiegarci un po' la questione delle omonimie dei personaggi della prima e della seconda parte del romanzo? Che cosa hai voluto rappresentare con questo? Oppure preferisci che sia il lettore, con un po' di riflessione e attenzione, a capirlo?

L'omonimia dei personaggi è un particolare del romanzo che lascerei intendere al lettore... Rafforza il legame tra le due protagoniste femminili, ma... è tutto da scoprire!

Speranza, una madre quarantenne di tre figli, si può dire che ella rappresenta, metaforicamente, appunto la Speranza che stava per morire nel cuore di ognuno e che invece è sopravvissuta?

Beh... la scelta di un nome così evocativo non è certo casuale. Si, questa donna rappresenta a tutti gli effetti la bellezza e la necessità di sperare, di credere nella forza del percorso che conduce ad una fermata successiva...

È dunque, la storia di Speranza, anche un messaggio che vuoi trasmettere ai lettori? Ovvero un messaggio di speranza appunto?


Il romanzo è sorretto dai sentimenti (i più vari) e dalla necessità di sperare in qualcosa.

C'è una parte del romanzo in cui Anita, la protagonista, s'iscrive a un corso di scrittura, per cui vorrei chiederti: ritieni importante frequentare corsi di scrittura creativa, al contrario di come altri autori affermano? 

Ritengo i corsi di scrittura molto importanti. È vero che per scrivere un libro debba esserci un'indiscussa predisposizione. Io però credo che, se dovessi scrivere oggi “Fino all'altra fermata”, non commetterei gli errori (grammaticali e non) che ho commesso. Non ho ancora avuto la possibilità di frequentare un corso, perché qui nella provincia di Lecce è difficile che ci sia. Però ho letto molto, a differenza di quanto accadeva a vent'anni.

Il tuo romanzo s'intitola “Fino all'altra fermata (chi ama sa)”. Vogliamo spiegare ai nostri lettori a cosa ti riferisci precisamente? Qual è “l'altra fermata?” 

L'altra fermata è prospettiva e speranza, allo stesso modo in cui può rappresentare un blocco, però utile, mai distruttivo. Potrei fare dei precisi riferimenti al testo... ma rischierei di svelare troppo. Lascio libera interpretazione al lettore.

Spiegaci invece l'espressione metaforica “a piedi nudi”, affiancata spesso all'altra espressione che, come abbiamo detto, dà il titolo al libro “fino all'altra fermata”. 

“A piedi nudi” ovvero con assoluta umiltà e verità. Non è necessario avere delle “scarpe alate” ai piedi per prendere quota. Così come non occorrono fronzoli all'anima per accogliere la bellezza dell'esistenza.

Quali altri progetti per il futuro nell'ambito letterario?
 
Ho scritto il secondo romanzo. Attendo le risposte da parte degli editori. Spero presto possa essere pubblicato, incrocio le dita! Il terzo è appena nato... avrà tempo e modo di crescere...

Grazie, Vittoria, ti faccio tanti in bocca al lupo per tutto!

Grazie a te per tutto, crepi il lupo!


Domenico Esposito Mito, scrittore e giornalista

giovedì 21 aprile 2011

Convegno: La Gioventù Assurda

Il convegno su “La Gioventù Assurda”, organizzato dal Centro Studi e dall'Associazione La Valle, è stato introdotto da Roberta Martone, la quale ha espresso la sua indignazione nei confronti della società che ha illuso i giovani che speravano che avere successo significasse far valere i propri pregi, i propri impegni e che la costanza e il sacrificio sarebbero stati premiati, almeno per chi se lo merita. La Meritocrazia però, come ha osservato Martone, spesso non si rivela altro che un termine utilizzato dai politici per rendere ancora più credibile un discorso retorico preparato a tavolino, quando in realtà nella nostra società l'unico merito che bisogna avere per rivestire un ruolo importante o, semplicemente per trovare un lavoro, è di avere qualche conoscenza. “E allora” si è domandata Martone “che posto si dà alla competenza, alla preparazione e all'impegno, in una società in cui prevalgono soltanto la corruzione, intrighi politici e favoritismi?
Non è però la gioventù a essere assurda, ha osservato Talamo, giornalista e ricercatore della Formez, è assurdo, invece, che in un Paese che ha condannato se stesso al declino, la vera crisi del nostro tempo non è il crack periodico delle borse, ma la distruzione professionale delle giovani generazioni. Per un giovane del Sud, il discorso è ancora più paradossale perché non solo è inchiodato al nulla, ma è anche descritto sui giornali come un fannullone privilegiato che vive alle spalle degli altri, come se questo giovane non volesse lavorare ma volesse, per decisione, vivere sulle spalle degli altri. “Essere giovani " ha osservato Talamo "dovrebbe significare avere la spensieratezza anziché doversi preoccupare ogni giorno di non essere indipendente, di non essere autonomo e di non potersi costruire il futuro. La crisi addirittura ha ridotto la disoccupazione al sud poiché è aumentato il lavoro nero e inoltre la rinuncia al lavoro”. Poi difendendo i giovani ha affermato che essi devono concorrere “a cambiare lo spirito di questo tempo , ricominciando a credere in se stessi." È stata poi la volta del sindacalista della Cgil Mimmo Giugliano che ha portato dei dati oggettivi dai quali è risultato che il tasso di disoccupazione aumenta sempre di più affermando che “la politica nazionale è impegnata su altri fronti e continua ad essere indifferente al problema: ci vuole una seria e concreta politica per l'occupazione quale primaria esigenza ed emergenza dell’Italia. La crisi” – ha proseguito il sindacalista –“ ha prodotto effetti catastrofici con la perdita di migliaia di posti di lavoro e i primi a pagare l'immobilismo dei nostri paesi sono stati i giovani precari senza alcuna fonte di tutela”.
A concludere i lavori è stato il giovanissimo Stefano Pietrosanti, membro della Gioventù Federalista Europea, il quale ha dichiarato "che “ non esistono oggettivamente questioni 'giovanili', qui si tratta di un problema sociale che al massimo può essere definito generazionale, perché riguarda questa nuova generazione”. Poi, confutando la precedente dichiarazione di Talamo, ha precisato: "non è vero che i giovani non protestano: forti onde di proteste si sono viste dall'inizio della crisi. Alla fine, però, ha concluso Pietrosanti, “ ci si accorge anche che protestare, spesso, si rivela totalmente inutile”. A fine convegno, il confronto con il pubblico.

Domenico Esposito Mito